venerdì 30 gennaio 2009

Europenana y Galanet : dos portales para visitar

Europeana y Galanet son dos portales imprescindibles sobre la cultura europea. El primero, vastísimo, recoge documentos y archivos de la herencia cultural del Viejo Continente. Su éxito ha sido tal que el acceso en horas pico queda restringido. Pero vale la pena intentarlo. Se puede consultar en 25 lenguas.

Por su parte, Galanet es una plataforma perteneciente a un proyecto europeo Socrates Lingua, cuyo objetivo es permitir y fomentar la intercomprensión de los hablantes de las lenguas romances. Por ello se puede visitar en las seis lenguas romances más difundidas: español, portugués, francés, italiano, rumano y catalán.

En la columna izquierda del blog se encuentran los respectivos vínculos.

El nombre de Galanet me hace pensar en los personajes de la mitología griega Galatea y Polifemo. Precisamente sobre éste último propongo un extracto de la película que Franco Rossi hizo para la televisión italiana en 1968. Lo considero especialmente adecuado para el mundo contemporáneo, que necesita cegar con la inteligencia el ojo único de la visión restringida y parroquial de la realidad. Cuando se trata de políticas para aprender lenguas, por desgracia, encontramos más Polifemos de los que debería haber en los ambientes académicos: ¿serán éstos las modernas cavernas donde se oculta el cíclope? ¿seremos nosotros los "nadies" que tenemos la misión de clavarles la estaca en su único ojo y liberar así a nuestros compañeros de viaje?

Blog de Biología: ¿Cómo hacer mapas conceptuales?

Blog de Biología: ¿Cómo hacer mapas conceptuales?

Sé que esta entrada aparentemente es sui géneris y que tendría poca relación con la temática del blog. Sin embargo, me parece interesante, no sólo para estudiantes de biología, sino para todos los que estamos aprendiendo algo, incluidos los idiomas.

giovedì 29 gennaio 2009

Storia di una parola legata alla musica

La lingua ungherese "moderna" risale più o meno al XVIII secolo. In questo periodo molte parole straniere vengono introdotte nel linguaggio colto, ma anche in quello più quotidiano. Un esempio di questo fenomeno, molto legato anche alle abitudini dell'Impero Asburgico, è la nascita di una delle danze che col tempo avrebbero influenzato in modo indelebile la musica nazionale ungherese. Erano i tempi in cui la dinastia asburgica regnava indiscussa in tutti i territori dell'Impero. Mancavano ancora molti anni alla nascita dell'Impero Bicefalo, cioè, l'Impero Austro-Ungarico, nel quale la vecchia monarchia ungherese avrebbe trovato lo spazio necessario alla sua rinascita e posteriormente alla sua distruzione.

Quando arrivava il momento del reclutamento, gli zingani interpretavano delle musiche particolari che i ragazzi che sarebbero entrati nell'esercito ballavano. La parola tedesca per significare "reclutare" era werben. Gli ungheresi la presero e nacque il termine verbunkos per indicare sia la musica sia la danza che si interpretava quando i ragazzi venivano reclutati. Col tempo questo genere musicale si diffuse in tutto il paese, al punto che compositori del livello di Liszt o Bartók ne sono stati influenzati. In ogni paese dell'Ungheria e dell'attuale Transilvania c'è un tipo proprio di verbunkos.

Ma anche il verbunkos contribuì alla nascita dell'opera lirica nazionale ungherese, soprattutto dalla mano del compositore Ferenc Erkel (1810 - 1893), il quale negli anni 40 del XIX secolo compose le opere Bátori Mária (1840) e Hunyadi László (1844). In quest'ultima, l'influenza del verbunkos è determinante. Nel 1861 Erkel compose quella che è considerata l'opera nazionale ungherese: Bánk Bán. Egli ne compose altre 6 prima di morire nel 1893.

Nel primo filmato vediamo alcuni esempi di verbunkos tradizionali. Nel secondo filmato, l'aria Hazám, hazám, una delle arie più conosciute dell'opera Bánk Bán di Erkel, interpretata dal tenore Simándy Jozsef.

Attenzione: in ungherese si usa prima il cognome e dopo il nome della persona.





Eccone il testo:

Mint száműzött, ki vándorol
A sűrű éjen át,
S vad förgetegben nem lelé
Vezérlő csillagát,
Az emberszív is úgy bolyong,
Oly egyes-egyedül,
Úgy tépi künn az orkán,
Mint az önvád itt belül.
Csak egy nagy érzés éltetett
Sok gond és gyász alatt,
Hogy szent hazám és hős nevem
Szeplőtlen megmarad.
Most mind a kettő orvosra vár,
S míg itt töprenkedem,
Hazám borítja szemfödél
S elvész becsületem!

Hazám, hazám, te mindenem!
Tudom, hogy mindenem neked köszönhetem.
Arany mezők, ezüst folyók,
Hős vértől ázottak, könnytől áradók.
Sajgó sebét felejti Bánk,
Zokog, de szolgálja népe szent javát.

Magyar hazám, te mindenem!
Te érted bátran meghalok,
Te Szent Magyar hazám!

mercoledì 28 gennaio 2009

Istambul: capitale culturale europea 2010

In Europa c'è una città unica perché ponte tra l'Oriente e l'Occidente. Infatti, fu durante molti secoli la continuatrice della cultura greco-latina, anche se più greca che latina: l'antica Costantinopoli, capitale dell'Impero Bizantino dal 486 d.C fino al 1453. Dopodiché, con il nome di Istambul, divenne la capitale dell'Impero Ottomano, fino al 1923, ormai ai tempi della moderna Turchia, anno in cui la capitale fu trasferita ad Ankara. Tuttavia, ancora oggi Istambul continua ad essere il cuore economico e culturale della Turchia.

Nel 2010 Istambul sarà la capitale culturale europea. Nel frattempo, ecco un bel brano del gruppo italiano "Agricantus" o "Trancendental", originario dalla Sicilia. Il suo stile musicale è anch'esso un ponte tra l'Occidente e l'Oriente. Il brano fa parte della colonna sonora del film "Hamam - Il bagno turco", con cui il regista turco naturalizzatosi italiano Ferzan Özpetek si è fatto conoscere nel 1997.



Eccone il testo originale in turco, e una versione in italiano.

İSTAMBUL UYURKEN

İstanbul uyurken
ona anlat beni
Kalamış akşamlarını

Demli çayları
Köhneyi anlat
seni çok sevdiğimi

Düğümlü yolları
çıkmaz sokakları
yarın yarın diyerek
geçen zamanı

İstanbul uyurken
dinle geceyi
yıldızlar beni anlatır sana

Belki gelirim
uçup rüzgarla
aç kollarını

Sarıl havaya
beni al, bırakma
yarın yarın diyerek
geçen zamanı

İstanbul uyurken
ona anlat beni
Kalamış akşamlarını

Demli çayları
Köhneyi anlat
seni çok sevdiğimi

Yanlış bilmesin.


MENTRE ISTAMBUL DORME

Mentre Istanbul dorme,
raccontagli di me,
delle serate di Kalams.

Raccontagli dei tè densi
e di Kòhnè,
di quanto ti ho amato.

Raccontagli delle strade nodose,
senza uscite, ripetendo
"domani, domani",
raccontagli del tempo che passa.

Mentre Istanbul dorme,
ascolta la notte,
le stelle ti racconteranno di me.

Forse venni col vento, abbraccia l'aria,
prendimi senza lasciare.
Mentre Istanbul dorme, raccontagli di me,

Prendimi abbracciando l’aria.
Non mi abbandonare
ripetendo "domani, domani",
poiché il tempo passa.

Mentre Istanbul dorme,
raccontagli di me,
delle serate di Kalams.

Raccontagli dei tè densi
e di Kòhnè,
di quanto ti ho amato.

Digli di non sbagliare.

martedì 27 gennaio 2009

Sándor Márai e la sua patria: la lingua ungherese

Nel 1972, lo scrittore ungherese Sándor Márai (Kassa, 1900 - San Diego, 1989) ha pubblicato "Terra, terra!" (in ungherese: "Föld, föld...!"; in spagnolo: "¡Tierra, tierra!"; in inglese: "Memoir of Hungary"; in francese: "Mémoires de Hongrie"), seconda parte delle sue memorie. In questo libro Márai racconta il suo disappunto e la sua delusione nel ritornare all'inizio degli anni 50 in Ungheria, terra che aveva lasciato negli anni 20, perché scomodo al regime fascista di Miklós Horthy. E l'Ungheria che lui incontra è un paese dilaniato e stuprato dal regime comunista istauratosi nel 1948. Márai decide quindi di esiliarsi definitivamente e adottare come patria definitiva la sua lingua madre, cioè, l'ungherese. La famosa frase di Fernando Pessoa, sulla quale abbiamo parlato nei due post precedenti, acquista così un significato tra il tragico e l'assoluto.

Una delle sue opere più conosciute è "Le Braci" (in ungherese: "A gyerták csonkig égnek"; in spagnolo: "El último encuentro"; in inglese: "Embers"; in francese: "Les Braises"), scritta nel 1942. Vediamo due filmati della messa in scena teatrale che il "Teatro Camino" di Santiago del Cile ne ha fatto nel 2007. È molto interessante la riflessione che fanno il direttore e la traduttrice sul titolo in spagnolo, che non c'entra quasi niente con il titolo in ungherese. Si veda anche come in altre lingue la traduzione del titolo sia molto più vicina all'originale.





In questo romanzo, a Konrád, uno dei protagonisti, piace tantissimo Chopin e ne suona alcuni brani. Sentendo Konrád suonare, il padre di Henrik, l'altro protagonista, afferma che l'amico del figlio non sarebbe mai diventato un vero militare, perché amante della musica. E la musica è pericolosa e soltanto un ribelle può amarla.

Eccone il "Notturno per pianoforte e violino".

lunedì 26 gennaio 2009

Poema do Menino Jesús (Alberto Caeiro - Fernando Pessoa)

Alberto Caeiro, uno de los principales heterónimos de Fernando Pessoa, escribía en 1914 la colección de poemas titulada "O guardador de rebanhos", de la cual quiero destacar el poema VIII, más conocido como "Poema do Menino Jesús". Aquí está interpretado por Maria Bethania, una de las cantantes brasileñas contemporáneas más importantes. La primera versión es de 1973 y está seguida por la canción "Doce mistério da vida". La segunda es más reciente y tiene subtítulos en portugués.








El texto del poema, tomado del sitio http://www.secrel.com.br/jpoesia/pessoa.html:

VIII - Num Meio-Dia de Fim de Primavera


Num meio-dia de fim de primavera
Tive um sonho como uma fotografia.
Vi Jesus Cristo descer à terra.
Veio pela encosta de um monte
Tornado outra vez menino,
A correr e a rolar-se pela erva
E a arrancar flores para as deitar fora
E a rir de modo a ouvir-se de longe.

Tinha fugido do céu.
Era nosso demais para fingir
De segunda pessoa da Trindade.
No céu era tudo falso, tudo em desacordo
Com flores e árvores e pedras.
No céu tinha que estar sempre sério
E de vez em quando de se tornar outra vez homem
E subir para a cruz, e estar sempre a morrer
Com uma coroa toda à roda de espinhos
E os pés espetados por um prego com cabeça,
E até com um trapo à roda da cintura
Como os pretos nas ilustrações.
Nem sequer o deixavam ter pai e mãe
Como as outras crianças.
O seu pai era duas pessoas
Um velho chamado José, que era carpinteiro,
E que não era pai dele;
E o outro pai era uma pomba estúpida,
A única pomba feia do mundo
Porque não era do mundo nem era pomba.
E a sua mãe não tinha amado antes de o ter.

Não era mulher: era uma mala
Em que ele tinha vindo do céu.
E queriam que ele, que só nascera da mãe,
E nunca tivera pai para amar com respeito,
Pregasse a bondade e a justiça!

Um dia que Deus estava a dormir
E o Espírito Santo andava a voar,
Ele foi à caixa dos milagres e roubou três.
Com o primeiro fez que ninguém soubesse que ele tinha fugido.
Com o segundo criou-se eternamente humano e menino.
Com o terceiro criou um Cristo eternamente na cruz
E deixou-o pregado na cruz que há no céu
E serve de modelo às outras.
Depois fugiu para o sol
E desceu pelo primeiro raio que apanhou.

Hoje vive na minha aldeia comigo.
É uma criança bonita de riso e natural.
Limpa o nariz ao braço direito,
Chapinha nas poças de água,
Colhe as flores e gosta delas e esquece-as.
Atira pedras aos burros,
Rouba a fruta dos pomares
E foge a chorar e a gritar dos cães.
E, porque sabe que elas não gostam
E que toda a gente acha graça,
Corre atrás das raparigas pelas estradas
Que vão em ranchos pela estradas
com as bilhas às cabeças
E levanta-lhes as saias.

A mim ensinou-me tudo.
Ensinou-me a olhar para as cousas.
Aponta-me todas as cousas que há nas flores.
Mostra-me como as pedras são engraçadas
Quando a gente as tem na mão
E olha devagar para elas.

Diz-me muito mal de Deus.
Diz que ele é um velho estúpido e doente,
Sempre a escarrar no chão
E a dizer indecências.
A Virgem Maria leva as tardes da eternidade a fazer meia.
E o Espírito Santo coça-se com o bico
E empoleira-se nas cadeiras e suja-as.
Tudo no céu é estúpido como a Igreja Católica.
Diz-me que Deus não percebe nada
Das coisas que criou —
"Se é que ele as criou, do que duvido" —
"Ele diz, por exemplo, que os seres cantam a sua glória,
Mas os seres não cantam nada.
Se cantassem seriam cantores.
Os seres existem e mais nada,
E por isso se chamam seres."
E depois, cansados de dizer mal de Deus,
O Menino Jesus adormece nos meus braços
e eu levo-o ao colo para casa.
.............................................................................
Ele mora comigo na minha casa a meio do outeiro.
Ele é a Eterna Criança, o deus que faltava.
Ele é o humano que é natural,
Ele é o divino que sorri e que brinca.
E por isso é que eu sei com toda a certeza
Que ele é o Menino Jesus verdadeiro.

E a criança tão humana que é divina
É esta minha quotidiana vida de poeta,
E é porque ele anda sempre comigo que eu sou poeta sempre,
E que o meu mínimo olhar
Me enche de sensação,
E o mais pequeno som, seja do que for,
Parece falar comigo.

A Criança Nova que habita onde vivo
Dá-me uma mão a mim
E a outra a tudo que existe
E assim vamos os três pelo caminho que houver,
Saltando e cantando e rindo
E gozando o nosso segredo comum
Que é o de saber por toda a parte
Que não há mistério no mundo
E que tudo vale a pena.

A Criança Eterna acompanha-me sempre.
A direção do meu olhar é o seu dedo apontando.
O meu ouvido atento alegremente a todos os sons
São as cócegas que ele me faz, brincando, nas orelhas.

Damo-nos tão bem um com o outro
Na companhia de tudo
Que nunca pensamos um no outro,
Mas vivemos juntos e dois
Com um acordo íntimo
Como a mão direita e a esquerda.

Ao anoitecer brincamos as cinco pedrinhas
No degrau da porta de casa,
Graves como convém a um deus e a um poeta,
E como se cada pedra
Fosse todo um universo
E fosse por isso um grande perigo para ela
Deixá-la cair no chão.

Depois eu conto-lhe histórias das cousas só dos homens
E ele sorri, porque tudo é incrível.
Ri dos reis e dos que não são reis,
E tem pena de ouvir falar das guerras,
E dos comércios, e dos navios
Que ficam fumo no ar dos altos-mares.
Porque ele sabe que tudo isso falta àquela verdade
Que uma flor tem ao florescer
E que anda com a luz do sol
A variar os montes e os vales,
E a fazer doer nos olhos os muros caiados.

Depois ele adormece e eu deito-o.
Levo-o ao colo para dentro de casa
E deito-o, despindo-o lentamente
E como seguindo um ritual muito limpo
E todo materno até ele estar nu.

Ele dorme dentro da minha alma
E às vezes acorda de noite
E brinca com os meus sonhos.
Vira uns de pernas para o ar,
Põe uns em cima dos outros
E bate as palmas sozinho
Sorrindo para o meu sono.
......................................................................
Quando eu morrer, filhinho,
Seja eu a criança, o mais pequeno.
Pega-me tu ao colo
E leva-me para dentro da tua casa.
Despe o meu ser cansado e humano
E deita-me na tua cama.
E conta-me histórias, caso eu acorde,
Para eu tornar a adormecer.
E dá-me sonhos teus para eu brincar
Até que nasça qualquer dia
Que tu sabes qual é.
.....................................................................
Esta é a história do meu Menino Jesus.
Por que razão que se perceba
Não há de ser ela mais verdadeira
Que tudo quanto os filósofos pensam
E tudo quanto as religiões ensinam?

"Minha pátria é a língua portuguesa": Reflexiones sobre una frase célebre de Fernando Pessoa

En 1914, Bernardo Soares, semiheterónimo del poeta portugués Fernando Pessoa, escribía el Libro del Desasosiego. Una de las frases más conocidas de Soares es "Minha pátria é a língua portuguesa", que, sacada del contexto original, se ha convertido según algunos destacados intelectuales como el italiano Antonio Tabucchi, en el lema de una política lingüística expansionista y neocolonial por parte de Portugal, respecto de sus antiguas colonias, especialmente las africanas: Angola, Cabo Verde, Guinea-Bissau, Mozambique y Santo Tomé y Príncipe.

Como se ve, estas consideraciones de política lingüística con cariz hegemónico, tan de moda hoy en los círculos educativos y académicos, en los cuales se impone cueste lo que cueste la posición dominante del inglés, también son válidas para otros ámbitos lingüísticos como el francés de Francia, el español de España o el portugués de Portugal. En este último caso, Tabucchi critica el hecho de que algún organismo oficial portugués se haya apropiado de la célebre frase del poeta, escrita en un contexto y referida a una situación personal totalmente diferentes: la búsqueda que en aquel momento estaba haciendo Soares-Pessoa de su propia identidad, tras haber vivido los primeros años de la infancia y la juventud en Sudáfrica. He aquí el texto original en portugués, tomado del sitio Jornal de Poesia:

"Não tenho sentimento nenhum político ou social. Tenho, porém, num sentido, um alto sentimento patriótico.Minha pátria é a língua portuguesa. Nada me pesaria que invadissem ou tomassem Portugal, desde que não me incomodassem pessoalmente. Mas odeio, com ódio verdadeiro, com o único ódio que sinto, não quem escreve mal português, não quem não sabe sintaxe, não quem escreve em ortografia simplificada, mas a página mal escrita, como pessoa própria, a sintaxe errada, como gente em que se bata, a ortografia sem ípsilon, como o escarro directo que me enoja independentemente de quem o cuspisse."

"Sim, porque a ortografia também é gente. A palavra é completa vista e ouvida. E a gala da transliteração greco-romana veste-ma do seu vero manto régio, pelo qual é senhora e rainha."

Livro do Desassossego por Bernardo Soares. Vol.I. Fernando Pessoa. (Recolha e transcrição dos textos de Maria Aliete Galhoz e Teresa Sobral Cunha. Prefácio e Organização de Jacinto do Prado Coelho.) Lisboa: Ática, 1982.

Mi traducción al español puede ser ésta:

"No tengo ningún sentimiento político o social. Tengo, sin embargo, en cierto sentido, un alto sentimiento patriótico. Mi patria es la lengua portuguesa. No me pesaría nada que invadieran o se tomaran a Portugal, desde que no me incomodaran personalmente. Pero odio, con odio verdadero, con el único odio que siento, no a quien escribe mal en portugués, no a quien no sabe sintaxis, no a quien escribe con ortografía simplificada, sino la página mal escrita, como si fuera una persona verdadera; la sintaxis equivocada, como si fuera alguien a quien golpear; la ortografía sin ípsilon, como un escupitajo directo que me asquea independientemente de quien lo escupa."

"Sí, porque la ortografía también es una persona. La palabra está completa si se la ve y se la oye. Y la gala de la transliteración greco-romana me la viste con su verdadero manto regio, por el cual es señora y reina."

La traducción italiana (Ed. Feltrinelli), en la edición del "Libro dell'Inquietudine" con prólogo Antonio Tabucchi, es:

"Non ho alcun sentimento politico o sociale. Eppure ho, in un certo senso, un alto sentimento patriottico. La mia patria è la lingua portoghese. Non m'importerebbe niente se invadessero od occupassero il Portogallo, a condizione che non mi disturbassero personalmente. Ma odio, con un odio vero, con l'unico odio che sento, non chi scrive male il portoghese, non chi non sa la sintassi, non chi scrive con un'ortografia semplificata, ma la pagina scritta male, come se fosse una persona vera; la sintassi sbagliata come se fosse qualcuno da picchiare; l'ortografia senza ipsilon, come uno sputo diretto che mi fa schifo indipendentemente da chi sputa.

"Sí, perché anche l'ortografia è una persona. La parola è completa se vista e sentita. E la gala della traslitterazione greco-romana me la veste col suo vero manto regio, per il quale è signora e regina."

Otro ejemplo de lo que afirma Tabucchi podría ser la entrada en vigor desde enero de 2009 de la nueva reforma ortográfica del portugués. Ya en agosto de 2007, el diario brasileño A Folha de S. Paulo se refería a este polémico tema en un artículo de Daniela Tófoli, titulado Brasil se prepara para reforma ortográfica. Además del interés periodístico del artículo, hay varios vínculos orientativos sobre la naturaleza de la reforma ortográfica.

Para aliñar el texto, he aquí una canción brasileña muy conocida, compuesta por Catulo da Paixão Cearense y Joaquim Calado, e interpretada por Maria Marta:



Flor amorosa, compassiva, sensitiva, vem porque
É uma rosa orgulhosa, presunçosa, tão vaidosa
Pois olha a rosa tem prazer em ser beijada, é flor, é flor
Oh, dei-te um beijo, mas perdoa, foi à toa, meu amor
Em uma taça perfumada de coral

Um beijo dar não vejo mal
É um sinal de que por ti me apaixonei

Talvez em sonhos foi que te beijei
Se tu pudesses extirpar dos lábios meus
Um beijo teu tira-o por Deus
Vê se me arrancas esse odor de resedá

Sangra-me a boca, é um favor, vem cá
Não deves mais fazer questão
Já perdi, queres mais, toma o coração
Ah, tem dó dos meus ais, perdão
Sim ou não, sim ou não
Olha que eu estou ajoelhado

A te beijar, a te oscular os pés

Sob os teus, sob os teus olhos tão cruéis
Se tu não me quiseres perdoar
Beijo algum em mais ninguém eu hei de dar
Se ontem beijavas um jasmim do teu jardim

A mim, a mim
Oh, por que juras mil torturas
Mil agruras, por que juras?
Meu coração delito algum por te beijar não vê, não vê
Só por um beijo, um gracejo, tanto pejo
Mas por quê?

giovedì 22 gennaio 2009

Renacimiento de una lengua: el hebreo

El profesor José R. Ayaso publicó hoy en el diario El País un artículo a mi juicio muy interesante porque indica cómo es de importante conocer los términos precisos para referirnos adecuadamente a una realidad dada, en este caso la reciente acción militar de Israel en la Franja de Gaza. El artículo lleva como título: "¿Son hebreos los que han atacado Gaza?"

Quiero referirme aquí al término que da título al artículo del profesor Ayaso: "hebreo". Como él señala, en español, el término se utiliza para referirse al pueblo que salió de Egipto con Moisés, y sobre todo, a su lengua y literatura. A pesar de lo que muchos de nosotros creíamos, en tiempos de Jesucristo el hebreo se hablaba ya muy poco como lengua de la vida diaria en favor del arameo. Sólo se conservaba como lengua religiosa. Con la Diáspora en el siglo I d.C, los rabinos la llevaron a las diferentes tierras que acogían a los judíos y se convirtió en uno de los elementos aglutinantes de su cultura. Con el paso del tiempo, las comunidades judías también aprendieron las lenguas de los países donde vivían. A finales del siglo XIX, como parte del movimiento sionista, un grupo de intelectuales europeos judíos se propuso hacer que el hebreo, limitado a un contexto religioso, volviera a ser una lengua de la vida cotidiana, al tiempo que los judíos pudieran volver a la tierra de la que sus ancestros habían sido expulsados por los romanos.

El proceso de "reconstrucción" del hebreo fue bastante complejo y no estuvo exento de polémicas, especialmente por parte de los sectores religiosos, que consideraban que tal proyecto era blasfemo, pues el hebreo era la lengua de Dios. También estaba la cuestión de qué comunidad debía ser la que se tomara como "modelo" para el hebreo moderno. En general se admite que su normativización está basada en la lengua de los judíos sefardíes (por ello, tiene muchas características comunes con el español de los siglos XV y XVI). El otro grupo que hizo aportes muy importantes fue el de los judíos azkenazíes (judíos de Europa Central y Oriental) y su lengua, el yiddish. Sin embargo, la actual lengua hebrea no habría penetrado las diferentes capas sociales del Estado de Israel, si no se hubiera realizado una labor persistente y tenaz para enseñarla y aprenderla en el sistema escolar del país.

Lo que son las paradojas del destino: el arameo, lengua dominante frente a la moribunda lengua hebrea de los tiempos de Jesús, hoy en día es la lengua de la pequeña comunidad aramea de Siria, de religión cristiana y que constituye un 10% de la población de ese país.

Quien desee profundizar en un tema tan apasionante como éste, puede consultar algunos de los siguientes sitios: Hebrew Language, Revival of the Hebrew Language, Idioma Hebreo, Lingua ebraica, Virtual Hebrew Studies.

Para aprender algo de hebreo hay sitios como estos: Curso de hebreo, Língua Hebraica.

Finalizo invitándolos a ver y escuchar esta emocianante interpretación que hace el violinista Itzhak Perlman de la música que John Williams compuso para la película "La Lista de Schindler" (1993).

mercoledì 21 gennaio 2009

I nostri antenati - Nuestros antepasados

Tomo prestado el título que Italo Calvino dio a su trilogía de novelas fantásticas (Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente) para hablar de dos personajes cuya historia, a pesar de las apariencias, tiene varios aspectos en común, tanto desde un punto de vista biográfico, como lingüístico.


http://www.targetmarketnews.com/BarackObama2.jpg

Todos sabemos quién es Barack Obama (¿de verdad?). Sabemos por ejemplo que nació en Hawaii, que su madre era una mujer blanca de Kansas y su padre un estudiante universitario proveniente de Kenia y que sus padres se separaron pronto. El actual Presidente de EE.UU. se quedó y creció con su madre, mientras su padre se mudó a Harvard y después regresó a Kenia. ¿De cuál región de Kenia era el señor Obama padre? Era, porque murió en 1982 en un accidente. Era, digo, de Nyang'oma Kogelo, un pueblo ribereño del Lago Victoria en el oeste del país. ¿Y qué lenguas se hablan en ese pueblo? Almenos dos: inglés (herencia de la dominación británica)y swahili. Estas dos lenguas, tan distantes a nivel "genético", puesto que la primera es indoeuropea y la segunda bantú, tienen una característica que las acomuna de un modo extraordinario: son lenguas francas. Si bien el inglés pertenece a la familia de las lenguas germánicas, ha asimilado una gran cantidad de vocabulario del latín y del francés medieval. Hoy en día se la utiliza como lengua internacional, aunque generalmente con rasgos bastante simplificados: es lo que jocosamente llamaríamos el inglés de aeropuerto o el inglés para pedir una cerveza por teléfono. Desafortunadamente, algunas de las mentes más iluminadas de nuestra comunidad académica creen que éste es el inglés que deben estudiar nuestros jóvenes...

El swahili, por su parte, surgió entre los siglos VIII y XII como lengua de contacto entre las lenguas bantúes de las costas de Kenia y Tanzania, en el África oriental, y los comerciantes árabes del Sultanato de Omán. Con el tiempo incorporó numerosos elementos del persa y del hindi. En la época colonial el portugués primero y el inglés más tarde también aportaron un vocabulario muy importante. La importancia de esta lengua creció, hasta el punto de que hoy es la lengua nacional de Kenia y Tanzania. Hoy la hablan como lengua materna 5 millones de personas y como segunda lengua 50 millones más.

Volviendo al Presidente Obama, claro está que él nunca habló swahili, pero su padre, su "antenato" sí.

Nuestro segundo personaje es una soprano cuya voz es cada vez más importante en los principales escenarios operísticos. Se llama Measha Brueggergosman. Nació en Fredericton, capital de la provincia canadiense de New Brunswick. Es descendiente de esclavos africanos traídos desde Camerún a Connecticut, pero que a finales del siglo XVIII huyeron a la vecina provincia de Nova Scotia. La lengua de sus "antenati" es el basaa, lengua bantú (como el swahili) que hoy hablan alrededor de 230.000 personas. Camerún fue colonia alemana hasta 1884. Luego fue dividida entre ingleses y franceses, cuyas lenguas son oficiales en la actual República de Camerún. Lo que es el destino: New Brunswick es la única provincia canadiense cuyas lenguas oficiales son el inglés y el francés.

Algo más: el apellido de Measha no es muy francés o inglés que digamos. En realidad su apellido natal es Gosman. Está casada con Markus Brügger. Al casarse, decidieron combinar sus apellidos, así que hoy son los esposos Brueggergosman.

Veamos y escuchemos a Measha interpretando un fragmento de "La Vierge", obra musical en cuatro escenas con música de Jules Massenet y texto de Charles Grandmougin estrenada en 1880.



La letra del fragmento:

Rêve infini! Divine extase!
Mes yeux sont éblouis!
L'immensité m'oppresse!
Rêve infini!
Ah! d'un charme inconnu je suis toute enivrée,
Des esprits bienheureux j'entends déjà les voix:
Des liens de la vie à jamais délivrée,
j'ai connu la douleur pour la dernière fois!
O vertige sacré douloureuse allegresse!
Mes yeux sont éblouis!
L'immensité m'oppresse!
Les portes du ciel vont s'ouvrir!
Rêve infini!
Divine extase!
L'éther scintille et s'embrase s'embrase
À la clarté du jour qui ne doit pas finir!

Políticas sobre lenguas extranjeras (II)

Ayer en la mañana exponía el caso de la Universidad Nacional de Colombia sobre las lenguas extranjeras, en el contexto de su actual reforma académica, como un caso que el Diccionario de la Real Academia debería considerar en la definición de términos como "absurdo" o "estupidez", al tiempo que terminaba mi reflexión esperando que todo fuera una terrible pesadilla.

Hay novedades. Ayer en la tarde en una conversación muy agradable, tuve oportunidad de exponerle esta preocupación al profesor Fabián Sanabria, Decano de la Facultad de Ciencias Humanas. Inmediatamente terminé de expresársela, él, de manera contundente y sin dudarlo, me respondió que esas informaciones NO son ciertas, que quien dio esa información ha interpretado erróneamente la normatividad y que la Universidad no puede caer en situaciones, precisamente, ABSURDAS, más aún cuando el Consejo de Facultad aprobó en su última sesión de 2008 la creación de asignaturas de nuevos idiomas como los cuatro niveles de turco. No sólo por su respuesta, sino por la forma en que me la expresó, considero que ésa es la información verdadera y que afortunadamente los estudiantes podrán seguir accediendo a la amplia oferta de lenguas que tradicionalmente ha distinguido a la Universidad Nacional.

Una luz de esperanza muy valiosa, a la que habrá que hacerle seguimiento.

martedì 20 gennaio 2009

Políticas sobre lenguas extranjeras: algunas reflexiones sobre casos recientes

Hoy me gustaría reflexionar sobre tres casos concernientes a políticas de lenguas extranjeras en América Latina. Para dos de estos tres casos tomo informaciones de la página elcastellano.org. Para el tercer caso me baso en mi experiencia personal como profesor de lenguas extranjeras.

El primer caso reportado por el castellano.org (13 de enero de 2009)se refiere a la próxima conclusión de la construcción de un nuevo edificio para el centro de idiomas de la Universidad Nacional de Trujillo, en el norte de Perú. Según la fuente:

"El moderno edificio de tres pisos contará con 30 aulas, donde estudiará un promedio de 10 mil alumnos en todos los turnos llenos, por lo que se convertirá en el más grande centro de enseñanza de idiomas extranjeros del norte del país. Además se dispondrá de 2 laboratorios, una biblioteca multimedia, un cafetín, un auditorio y una sala de exposiciones y la zona administrativa. Otra de las ventajas es que las aulas estarán interconectadas a una base de datos y en toda el área del Cidunt se contará con servicio de Internet inalámbrico." En el edificio podrán estudiar aproximadamente 10.00 estudiantes. Por otra parte, este centro de idiomas ofrece cursos de siete lenguas: Inglés, Alemán, Francés, Italiano, Japonés, Portugués y Chino. Los estudiantes pueden escoger la lengua que desean estudiar. Según el Director encargado del Centro, las lenguas que tienen más demanda son: el japonés, el italiano, el francés y el alemán.

El segundo caso, del 17 de enero, se refiere a la ley del Congreso de la República Argentina, por medio de la cual "Las escuelas nacionales deberán incluir a partir de este año "una propuesta curricular" para la enseñanza del portugués como lengua extranjera, cuya cursada será "de carácter optativo para los estudiantes"." Esta decisión se puede interpretar como una contrapartida a la decisión que hace algunos años tomó el Gobierno de Brasil de establecer el español como primera lengua extranjera en la educación primaria y secundaria. También hay que recordar que en el último Congreso de la Lengua Española, llevado a cabo en la ciudad colombiana de Cartagena de Indias, se discutió sobre la necesidad de que en los países hispanohablantes se impulsara el aprendizaje del portugués y la formación de profesores de esta lengua.

Para el tercer caso, con base en mi experiencia como profesor de lenguas de la Universidad Nacional de Colombia, la universidad pública más importante de Colombia, debo mencionar el actual proceso de reforma académica que se está realizando y cuya implementación debe ponerse en práctica desde el primer semestre de 2009. Dentro de la numerosa normatividad que regula este proceso, remito al Acuerdo 035 del Consejo Superior de la Universidad. Por medio de este Acuerdo "se dictan disposiciones relacionadas con el requisito de grado de demostrar suficiencia en idioma Inglés con énfasis en comprensión de lectura."

Pues bien, hasta el segundo semestre de 2008, para cumplir con la suficiencia en lenguas extranjeras como requisito de grado, los estudiantes podían escoger la lengua entre las ofrecidas por la Universidad a través del Departamento de Lenguas Extranjeras en la Sede de Bogotá o de los Centros de idiomas en las demás sedes (Medellín, Palmira, Manizales, San Andrés): Inglés, Francés, Alemán, Italiano, Portugués, Ruso, Japonés, Chino y Farsi. Con la reforma académica, se ven obligados a estudiar únicamente inglés. Las asignaturas de las otras lenguas, hasta donde yo tenía entendido, estaban incluidas en un componente de libre elección junto con asignaturas de los diferentes campos del conocimiento. Por una información a la cual tuve acceso ayer 19 de enero, las asignaturas de las lenguas diferentes al inglés NO están incluidas dentro del componente de libre elección, ni dentro de ningún otro. De acuerdo con dicha información, se podrán programar estas asignaturas, pero éstas no contarán dentro de los créditos establecidos por la Universidad, mientras se lleva a cabo el proceso de transición al nuevo ordenamiento académico de la Universidad.

En mi opinión la consecuencia inmediata será que los estudiantes que ya habían comenzado su proceso de aprendizaje de estas lenguas (Niveles I y II de los cuatro previstos) las abandonarán para limitarse a tomar las asignaturas obligatorias del pénsum de su carrera, las de inglés y las de libre elección cuyos créditos sí serán válidos. Es decir que quienes tomen estos cursos, lo harán como cuando se toma un curso libre y con la esperanza de que en un futuro no muy lejano los créditos de estas asignaturas sean válidos y puedan así avanzar más rápidamente hacia la aprobación del número mínimo de créditos establecido por el respectivo pénsum. Por otra parte, estas decisiones dan el golpe de gracia al proceso que desde 2001 se había concebido y puesto en marcha por medio del Programa de Desarrollo del Aprendizaje Autónomo de Lenguas Extranjeras (ALEX), para cuya implementación se proyectaba una inversión de 7 mil millones de pesos colombianos, de los cuales sólo le fueron destinados 2 mil millones, más varias donaciones de los gobiernos de Japón, Italia y China y con los cuales se logró dotar, sólo en la Sede de Bogotá, un Centro de Recursos con capacidad de 5 mil estudiantes y adquirir numeroso material didáctico de las diferentes lenguas. La normatividad que sustentaba este proceso consistía básicamente del Acuerdo 023 de 2001 del Consejo Superior Universitario.

¿Y ahora todo esto quedará subutilizado, con el consiguiente detrimento del patrimonio público? Las directivas de la Universidad divulgan a los cuatro vientos la importancia de las lenguas para la internacionalización de la institución y, sin embargo, toman decisiones como ésta, por no hablar del exiguo presupuesto que le destinan a la Oficina de Relaciones Interinstitucionales e Internacionales.

Creo que el Diccionario de la Real Academia debería considerar incluir este caso dentro de la definición de términos como "absurdo" y "estupidez". En próximas reflexiones espero poder decir que todo ha sido una horrible pesadilla.

sabato 17 gennaio 2009

Der Rosenkavalier:conjunción de música, teatro y lenguas



Los fundadores del Festival de Salzburgo (1920):
Parte superior izquierda: Richard Strauss
Parte superior derecha: Max Reinhardt
Parte inferior: Hugo von Hofmannsthal

Alguien podría preguntarse cuál de los tres componentes principales de una ópera tiene más importancia en su calidad: ¿el componente musical, el teatral o el lingüístico? Evidentemente cada uno de ellos es fundamental. ¿Cuántas veces una ópera con excelente música y libreto no ha quedado arruinada por un montaje desastroso? Menos terrible es el caso de una ópera con un libreto traído de los cabellos, pero con música sublime. Así mismo, pocas veces nos hemos preguntado por la calidad lingüística o literaria de un libreto, quizás porque a menudo nos atenemos a sus traducciones en general bastante simplificadas. Casi siempre la gente del común asocia el título de la ópera al compositor y con mucha menor frecuencia al nombre del libretista.

Pero, por fortuna, no siempre es así. Un caso paradigmático es el de "Der Rosenkavalier" ("El Caballero de la Rosa", "Le Chevalier à la Rose", "Il Cavaliere della Rosa", "O Cavaleiro da Rosa", "The Knight of the Rose", "A rózsalovag"). Esta ópera en tres actos, ambientada en la Viena de 1740, conjuga la genialidad musical de Richard Strauss, y la literaria y dramatúrgica de Hugo von Hofmannsthal. Fue estrenada triunfalmente el 26 de enero de 1911 en Dresde y desde entonces es una de las óperas más representadas e interpretadas. Además de la calidad literaria del libreto, una de sus características "lingüísticas" es que en él Von Hofmannsthal emplea tres lenguas: el alemán, el italiano y el francés. Atención: un cálculo muy subjetivo da para el primero de ellos el 99% del texto, para el segundo el 0,8% y para el tercero el 0,2%. Detengámonos en este punto.

Von Hofmannsthal quiso recrear la Viena de 1740 a través de personajes de diferentes clases sociales:
- Marie Therese, Mariscala Furstin, Princesa von Werdenberg, casada, de 32 años de edad, perteneciente a la alta nobleza del Imperio Austríaco;
- Octavian Maria Ehrenreich Bonaventura Fernand Hyazinth, llamado Quinquin, noble, soltero, amante de la Mariscala, de 17 años y dos meses de edad;
- el barón Ochs auf Lerchenau, noble, pariente lejano de la Mariscala, prometido de Sophie;
- Herr von Faninal, rico comerciante, de reciente nobleza;
- Sophie, hija de Faninal;
- otros personajes: el aya de Sophie, un notario, un abogado, un peluquero, intrigantes (italianos), un inspector de la policía, alta y baja servidumbre, campesinos, un posadero, huérfanos, un cantante, entre otros.

Cada uno de estos personajes (excepto el cantante y los intrigantes)se expresan en un alemán vienés propio de su edad y clase social. La Mariscala, además, utiliza el nombre francés "Quinquin" para tratar a Octavian en sus encuentros íntimos. Éste también utiliza el francés para llamarla cariñosamente "Bichette". Por su parte los intrigantes mezclan el alemán con el italiano, y el cantante de ópera aparece cantando un aria en un italiano extremamente clásico. Los nombres de los personajes han sido objeto de amplias reflexiones filológicas y sociolingüísticas. Lo que parece confirmado por la abundante documentación que dejó Von Hofmannsthal es que las variantes sociolingüísticas empleadas por los personajes son el resultado de una indagación muy profunda por parte del libretista (recordemos que también era filólogo, filósofo y que había hecho estudios de jurisprudencia). Sin embargo, Von Hofmannsthal nunca tuvo intenciones de hacer una especie de documental sobre la Viena del siglo XVIII. Recreó sí el espíritu de aquella época, al tiempo que buscó dar a cada personaje una profundidad psicológica propia de comienzos del siglo XX a través de su variante lingüística. Y la ceremonia de la presentación de la rosa fue inventada por Von Hofmannsthal.

¡Y a todo ello dio música Strauss! Música del siglo XX con toques de siglo XVIII. Una particularidad es que el papel del Octavian (debido a su corta edad) es interpretado por una mezzo. Éste es un recurso muy utilizado en la ópera para personificar un hombre joven.

Por ello, en Der Rosenkavalier la conjunción de música, lengua y teatro es única. Una conversación musical.

A continuación la escena de la presentación de la rosa (Segundo Acto). El montaje es de la Royal Opera House Covent Garden, Londres, 1985. Está ambientado en 1740 según la idea original de Von Hofmannsthal.



Ahora veamos el Trío Final, del Tercer Acto: la Mariscala, Octavian y Sophie. Este montaje es del Festival de Salzburgo de 2004 y está ambientado a comienzos del siglo XX. Un pequeño salto de doscientos años con respecto a la idea de Von Hofmannsthal.



El fragmento de la entrada anterior corresponde al momento en que el cantante de ópera interpreta ante la Mariscala el aria "Di rigori armato il seno" (Primer Acto).
El montaje es el ya mencionado de 2004 en Salzburgo.

sabato 10 gennaio 2009

Der Rosenkavalier

Opera: Der Rosenkavalier
Musica: Richard Strauss
Libretto: Hugo von Hofmannsthal

Aria: "Di rigori armato il seno"
Interprete: Piotr Beczala



Testo dell'aria:

Di rigori armato il seno
Contro amor mi ribellai
ma fui vinto in un baleno
in mirar due vaghi rai.
Ma fui vinto in un baleno
in mirar due vaghi rai.
Ahi! che resiste puoco a stral di fuoco
cor di gelo di fuoco a stral.

Fonte: lyricsmania.