Nel 1972, lo scrittore ungherese Sándor Márai (Kassa, 1900 - San Diego, 1989) ha pubblicato "Terra, terra!" (in ungherese: "Föld, föld...!"; in spagnolo: "¡Tierra, tierra!"; in inglese: "Memoir of Hungary"; in francese: "Mémoires de Hongrie"), seconda parte delle sue memorie. In questo libro Márai racconta il suo disappunto e la sua delusione nel ritornare all'inizio degli anni 50 in Ungheria, terra che aveva lasciato negli anni 20, perché scomodo al regime fascista di Miklós Horthy. E l'Ungheria che lui incontra è un paese dilaniato e stuprato dal regime comunista istauratosi nel 1948. Márai decide quindi di esiliarsi definitivamente e adottare come patria definitiva la sua lingua madre, cioè, l'ungherese. La famosa frase di Fernando Pessoa, sulla quale abbiamo parlato nei due post precedenti, acquista così un significato tra il tragico e l'assoluto.
Una delle sue opere più conosciute è "Le Braci" (in ungherese: "A gyerták csonkig égnek"; in spagnolo: "El último encuentro"; in inglese: "Embers"; in francese: "Les Braises"), scritta nel 1942. Vediamo due filmati della messa in scena teatrale che il "Teatro Camino" di Santiago del Cile ne ha fatto nel 2007. È molto interessante la riflessione che fanno il direttore e la traduttrice sul titolo in spagnolo, che non c'entra quasi niente con il titolo in ungherese. Si veda anche come in altre lingue la traduzione del titolo sia molto più vicina all'originale.
In questo romanzo, a Konrád, uno dei protagonisti, piace tantissimo Chopin e ne suona alcuni brani. Sentendo Konrád suonare, il padre di Henrik, l'altro protagonista, afferma che l'amico del figlio non sarebbe mai diventato un vero militare, perché amante della musica. E la musica è pericolosa e soltanto un ribelle può amarla.
Eccone il "Notturno per pianoforte e violino".
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